Beh, un po’ me l’aspettavo. Forse non proprio così ma sapevo di non essere la sola, l’unica a restare immune dall’aggressività misogina questi analfabeti funzionali.

E sì, perché è di questo che si tratta.

Che cos’è successo?

Che fai qualche annuncio, apri una nuova pagina social e arrivano i like, i complimenti, ma arrivano anche gli hater (ho controllato l’Accademia della Crusca consiglia la forma invariata anche al plurale come per tutti forestierismi acclimatati) ma posso usare anche il termine italiano “bulli”.

Persone che odiano e urlano il loro pensiero, gratuitamente, senza motivo.

Di solito si nascondono dietro un alias virtuale ma il più delle volte si palesano.

Possono essere indifferentemente uomini o donne, che dietro una tastiera non hanno censure né pudori e che “godono”, provano piacere, nello scrivere commenti sconvenienti.

Io l’ho detto tantissime volte non sono un medico né uno psicologo ma ho seguito un recente studio sui profili psicologici degli hater che ha evidenziato come in loro la psicopatia fosse un fattore predittivo, statisticamente rilevante.

Lo so benissimo ma quando quest’estate è toccato a me ci sono rimasta malissimo.

Controllare i loro profili non è bastato a placarmi. Alcune frasi erano proprio brutte, decisamente offensive e soprattutto gratuite. Ad esempio, di getto, avrei voluto rispondere a “PincoPallo6069” – che nell’immagine del profilo era con canotta bianca e torso decisamente poco statuario mentre addentava una fetta di pizza più che unta – gridando “ma come osi?” o a “MicioMicioBauBau” che mi ha appellata con “Zozzona che non sa parlare” avrei voluto scrivere “scusami tu invece hai fatto dizione con Chevalier o Pannofino?”.

Poi mi sono detta: a cosa mi serve?

Mi riconosco le mie competenze, i miei studi, il lavoro fatto assieme ai miei limiti, e certo non mi faccio abbattere da cattiverie gratuite e volgarità.

Mi è già capitato di raccomandare sui social a chi mi legge di non farsi svalutare, di non accettare offese e umiliazioni, mai!

Ero e sono preparata.

Non mi aspettavo, però, che tanta gente usasse ancora i social per sfogare uno stato di frustrazione profonda, per esibire la propria ignoranza, per cercare di sopraffare chiunque capiti a tiro, così solamente per lasciare ai posteri una frase volgare.

E dopo la rabbia, in me però arriva sempre un senso di pena nei confronti di questi miserabili (anche qui secondo il dizionario l’epiteto è più che calzante) e, nel contempo, anche un forte desiderio di continuare a spendere la mia esperienza e la mia empatia per chi davvero vuole essere migliore. 

Del resto lo sappiamo benissimo: basta cambiare modalità.


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