Domenica, ora di pranzo.
Ho finito il parmigiano e stasera ho promesso a degli amici di fare una bella spaghettata perciò vado a comprarlo al supermercato all’angolo, sempre aperto, di fronte ad una delle Basiliche più importanti di Roma.
Sono alla cassa mentre entra un signore apparentemente anziano che con voce supplichevole chiede alla cassiera se può lasciare in un angolo il suo trolley perché, per motivi di sicurezza, non lo fanno entrare in Basilica (e lo credo bene perché dieci minuti prima c’era veramente il panico, era appena passato il Papa per una veloce preghiera).
La cassiera accetta con un sorriso. E quel sorriso radioso, ingenuo e vagamente mediorientale a me riporta subito alla mente gli attentati degli anni ’70/80, quelli successivi alle Torri Gemelle – terribili – e subito entro in ansia. Vorrei dire alla cassiera di evitare, di non prendersi una tale responsabilità, che potremmo esplodere tutti e, nel mentre, la sento che saluta un collega dicendo che stasera staccherà a notte fonda. In silenzio “mi appanico”.
E se il vecchietto con l’aria sorniona fosse stato mandato proprio da terroristi? Magari, che so, gli hanno sequestrato moglie e nipoti (perché i figli, si sa, non ci stanno mai!).
Poi però rifletto, mi dico di essere una maniaca del controllo, una catastrofista, tipo Mel Gibson nel film “Ipotesi di complotto”, evidentemente nei supermercati non ci sono regole restrittive a riguardo, va tutto bene… va tutto bene e… taccio.
Ognuno ha i suoi “mostri”
Uno dei miei è datato 1977, è l’episodio ‘Senza parole’ del film collettivo “I nuovi mostri” diretto da Monicelli, Risi e Scola che troverete alla fine di questo articolo e che vi consiglio di guardare fino alla fine pensando alla me di allora.
Le nostre paure più profonde sono sempre irrazionali e alla fine nascono dalla sfiducia e dall’incomprensione dell’ALTRO. Oggi, se possibile è peggio, perché siamo bombardati da chi fabbrica scientificamente insicurezza e rancore.
Il mio sguardo si posa nuovamente sul volto della cassiera: è bellissima con quel suo sorriso smagliante. Forse sarebbe meglio essere fiduciosi fino all’inconsapevolezza invece di essere prevenuti e diffidenti come lo sono stata io perché, se questi miei sospetti a volte mortificano la mia empatia o la mia capacità di guardare in faccia gli altri, un po’ di prudenza può far solo bene, é la diffidenza che invece ci isola e, come il sonno della ragione, genera mostri anche quando non ci sono.
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